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L’arte di legare le persone · Paolo Milone · Einaudi

#incipit

“Ogni mattina è un brivido,

tre porte blindate per andare a lavorare.

Immagino di entrare in una centrale atomica con le pile 

immerse nell’acqua pesante,

o nei caveaux della Banca d’Italia, gonfi di lingotti d’oro

e di platino,

o nel ciclotrone, mille metri sotto il Gran Sasso,

o nel nascondiglio segreto della Spectre, percorso da gatti bianchi,

o nei laboratori dove si studiano i virus dell’Ebola.

Invece, che delusione:

dopo aver aperto la prima, la seconda, la terza porta,

vedo le solite facce di Giovanni, Lidia e Antonio”.

Paolo Milone fa un mestiere pericoloso e molto impegnativo. Non lavora in un cantiere autostradale e nemmeno appeso a un’impalcatura di un palazzo in costruzione, non va neppure in guerra, ma ogni giorno affronta la sua battaglia nel reparto di psichiatria.

Lavorare in psichiatria richiede oltre che una certa attitudine e vocazione, molta pazienza, forza e volontà. 

A volte può essere pesante, a volte può far sorridere, a volte può veramente mandar fuori di testa.

Questo lavoro lo si deve amare, e l’autore lo fa, a volte anche divertendosi.

Non è un romanzo, è uno spaccato di vita vera in psichiatria, pezzi di istanti, di scene, di situazioni.

Pagina dopo pagina svela il suo lavoro raccontando episodi quotidiani del suo impegno presso il reparto 77 in un centro di Salute Mentale di Genova.

“Entro in enormi stanze vuote,

vedo il paziente in lontananza nel suo letto,

attraverso metri cubi di niente,

gonfiati di follia, dove infiniti mondi coesistono,

e, dopo prolungato viaggio nel silenzio,

giungo nell’isola della disperazione,

mentre il padrone ha già svegliato i cani

e sguainato il coltello.

Quando arrivo sono stanco e indifeso.

Non so più cosa dire, né cosa fare.

Mi conviene indietreggiare verso terra sicura,

abbandonando questa scialuppa nel mare infinito.”

Racconti teneri, pieni di umanità, fatti di persone, di stereotipi di persone: i depressi, gli schizofrenici, i paranoici; racconti di luoghi, di colleghi, di TSO, di situazioni tragicomiche ma purtroppo reali che portano a svelare anche se stesso come medico.

Sfaccettature che sono un po’ dentro tutti noi, tutti abbiamo dentro un po’ di follia, magari sopita. In fondo il mondo è pieno di matti che nemmeno immaginiamo, tutti immersi nelle loro quotidiane follie che mascherano molto bene.

Non li vedrete mai.

Non li sentirete mai.

Non sospettate neppure la loro esistenza.

Eppure sono tanti: centinaia, migliaia in una città.

Stanno chiusi nella loro stanza.

Sopravvivono per anni.

Se non svuotano i pitali dalla finestra,

se non picchiano i genitori,

se non urlano la notte dal poggiolo o sul pianerottolo,

possono restare sulla loro isola anche venti, trent’anni, come Robison Crusoe.”

Poi ci sono i protocolli da seguire per curare i matti, legarli, non legarli. “L’arte di legare le persone” parla anche di questo e Milone dà un suo parere in merito.

Non è cattivo chi lega le persone.

È cattivo chi abbandona il paziente”.


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